Il pugno più amaro della vita è essere dimenticato. È stata l’ossessione di Sandro Mazzinghi, fino a ieri mattina, quando all’ospedale della sua Pontedera, a 81 anni, si è arreso quasi senza preavviso, la sua seconda sconfitta prima del limite. L’altra, dentro una carriera leggendaria — 64 vittorie su 67 incontri con 43 k.o., campione mondiale ed europeo superwelter — l’aveva incassata il 18 giugno 1965 a San Siro, di fronte a Nino Benvenuti e a 40 mila spettatori (solo perché la Curva Nord, l’unica aperta, quelli conteneva). Mazzinghi si era preso la corona mondiale due anni prima al Vigorelli distruggendo Ralph Dupas, l’australiano che rifilava testate: «Mi ha spaccato mezzo — disse il Ciclone di Pontedera grondante sangue — ma ora il campione sono io e comunque resto sempre lo stesso», rivelando le sue disarmanti motivazioni che lo avevano spinto a tirare di boxe: la guerra, la fame («Avrei fatto il ciclista ma non potevamo permetterci la bici») e il fratello Guido che lo imbucava nella sua palestra di Cascina prima di diventarne l’ombra, fuori e dentro il ring.
Mazzinghi contro Benvenuti era il Bartali contro Coppi, il Mazzola contro Rivera, il Gross contro Thoeni. «Lui — diceva di Benvenuti — era lo stilista, io picchiavo», ammetteva se costretto a dare la definizione a uno dei più drammatici duelli della storia italiana, non solo sportiva. «Ma anche quando pestavo ero generoso. Io ero cuore, cavalleria, ingenuità. Benvenuti era un birbante, che non è un’offesa, ma è un termine che gli sta bene addosso», dirà a mezzo secolo da quel memorabile match perso alla sesta ripresa. Con una tragica attenuante. L’anno prima, era il gennaio 1964, in un incidente d’auto era morta la moglie Vera, che Sandro aveva sposato da nemmeno due settimane, e lui stesso ne era uscito con il cranio fracassato. Il recupero psicofisico era stato tortuoso e, quando Benvenuti lo stese al sesto round, le sue condizioni erano traballanti. Il 17 dicembre 1965 la rivincita al Palazzetto dello Sport di Roma, conuna vittoria concessa ai punti a Benvenuti per una «scivolata» di Mazzinghi considerata da un giudice conseguenza di un colpo dell’istriano. Fu uno dei momenti più feroci dello sport italiano raccontata dalla faccia di Mazzinghi ridisegnata dal sangue e le bombole d’ossigeno attaccate allo sfiancato Benvenuti dopo il match. Il toscano tornò «ciclone» — lui preferiva essere definito gladiatore o guerriero «perché indicano violenza ma anche passione e pazienza» — il 17 giugno 1966 quando a Roma strappò l’Europeo al francese Leveque e, soprattutto, il 26 maggio 1968, una delle date da circoletto rosso nell’epopea sportiva italiana. Era successo che il massiccio sudcoreano Ki-Soo Kimaveva sfilato il Mondiale a Benvenuti ed era disposto a rimetterlo in palio contro il vecchio proprietario, Mazzinghi. Il match era previsto per il sabato sera a San Siro, ma a Milano venne giù il diluvio così l’avvenimento fu spostato alla domenica pomeriggio con trentamila spettatori ombrello al braccio. Alla fine grandinarono solo pugni tra due dei pugili più potenti e incassatori del mondo, 15 riprese spaventose e appassionanti, con il verdetto che restituì a Mazzinghi il titolo.
Una «vendetta» a distanza nei confronti di Benvenuti, con il quale non incrociò più né guantoni né parole. Solo un messaggio che il campione toscano affidò nell’aprile 2018 a Facebook in occasione degli ottant’anni dell’«amico» Nino: «Ci siamo arrivati… Tra qualche mese saranno anche i miei, un’età importante dove possiamo ricordare il passato con un po’ di nostalgia per i tanti momenti di gloria e non che ci hanno accomunato, ma sempre con l’amore e l’ardore per questo bellissimo sport». Commosso Benvenuti alla notizia della morte di Mazzinghi: «È come se morissi anch’io, sul ring Sandro era il massimo, l’avversario con la A maiuscola, aveva tutto ciò che ti metteva in difficoltà». Ieri l’ultimo abbraccio firmato dalla famiglia, la moglie Marisa e i figli David e Simone: «È un giorno triste, ma non possiamo che andare orgogliosi per l’uomo, l’atleta, il campione e il padre che è stato». Domani mattina i funerali al Duomo, quello di Pontedera.
Federico Pistone (Corriere della Sera)