Francesco De Gregori è la musica d’autore italiana, in un sentiero lungo 230 canzoni, tutte da raccontare, da riascoltare con attenzione e, provocatoriamente, da “giudicare” con le stelline. È il 1974, Faber ha già creato i suoi primi capolavori, mentre Francesco, animale mitico del Folkstudio, sta accordando il nuovo stile della nostra canzone, certo ascoltando e imparando da Paul Simon, Bob Dylan e Leonard Cohen, ma con un’eleganza straordinaria e inedita di melodia, voce e linguaggio, un’angelica genialità affidata a testi abbandonati su affascinanti tappeti volanti di foglie e di misteri.
Una piccola rivoluzione che disorienta (‘Alice’ arriva onorevolmente ultima al Disco per l’Estate del 1973) e che innervosisce, con tanto di processo proletario, minacce e richiesta di suicidio, abbandono delle scene per due anni prima del rientro con quel punto fermo che è ‘Generale’. De Gregori, capace di brani meravigliosamente intimi e di sentimenti aggrappati alle lacrime, compone anche le canzoni politiche più forti, di impegno definitivo, di condanna atroce, ma in lui c’è anche melodia, rock, raffinatezza a rendere il messaggio ancora più deflagrante: quando gorgheggia in ‘Cercando un altro Egitto’ “le grandi gelaterie di lampone che fumano lente” parla, con grazia disperata, dei bambini nei forni crematori.
Rievoca con la rabbia della poesia lo scandalo Lockheed e l’assassinio del giornalista Mauro De Mauro. Ma c’è anche la strage di Ustica, ricostruita con la ferocia liberata delle chitarre elettriche. E gli incanti antologici di ‘Rimmel’, ‘La donna cannone’, ‘Titanic’, ‘La leva calcistica’, ‘Viva l’Italia’ sono solo frammenti di una lunga stupefacente storia, che non si ferma davvero davanti a un portone.
Estratto scheda “Generale”
Generale *****
“Generale dietro la collina ci sta la notte crucca e assassina e dietro il campo c’è una contadina curva sul tramonto sembra una bambina”. De Gregori è tornato. Quella collina esiste davvero, è in Val Venosta, dove Francesco ha prestato servizio militare, fronte caldo della Prima guerra mondiale e territorio di indipendentisti altoatesini. La “notte crucca e assassina” è la feuernacht tra l’11 e il 12 giugno 1961 segnata da una serie di attentati. Ma quella di De Gregori è una canzone senza epoca, di pace, rinascita, ritorno, dove la guerra resta un ricordo neanche così tremendo in quanto tale: “Generale, dietro alla stazione lo vedi il treno che portava al sole, non fa più fermate neanche per pisciare, si va dritti a casa senza più pensare che la guerra è bella anche se fa male”. «La cultura di Francesco mi ha sempre attirato» ricorda Ennio Melis in Storia della Rca, la grande pentola, «e spesso passavamo lunghi pomeriggi a discettare di autori letterari per i quali abbiamo comune passione. Così un giorno gli consigliai il romanzo di Céline Viaggio al termine della notte». L’incipit di Generale, lo riconosce lo stesso De Gregori, è ispirato proprio al capolavoro francese del 1932. C’è anche una tenera citazione di Addio alle armi di Hemingway (“Torneremo ancora a cantare e a farci fare l’amore, l’amore dalle infermiere”) riaggiornata nel 2005 nell’intensa Gambadilegno a Parigi (“dottoressa chiamata Aprile”). De Gregori si rivolge idealmente non a un soldato semplice o a un ufficiale qualsiasi, ma direttamente al generale, dandogli perfino del tu, perché ormai “la guerra è finita” e non esistono più gerarchie militari ma “solo aghi di pino e silenzio e funghi buoni da mangiare, buoni da seccare, da farci il sugo quando viene Natale”, come a dire: abbiamo vinto la guerra e tutto quello che ci resta sono dei funghi per farci il sugo, ma anche le stellette che si sciolgono in “cinque lacrime”. In quarant’anni De Gregori crea una quindicina di arrangiamenti diversi su Generale, e nel 1995 la cede anche al suo apostolo Vasco Rossi, che la incide nel 2002, quasi a contraccambiare l’interpretazione di Vita spericolata offerta da Francesco nel 1993.
Estratto scheda “Viva l’Italia”
Viva l’Italia **
Dalla Resistenza agli Anni di piombo, un inno mellifluo e marpione all’Italia “derubata e colpita al cuore… presa a tradimento, assassinata dai giornali e dal cemento… metà giardino e metà galera… nuda come sempre” ma che “non muore”, che “non ha paura”, che è “tutta intera” e “che resiste”, non solo al Fascismo ma anche a tragedie come quella del 12 dicembre 1969 in occasione dell’attentato di Piazza Fontana a Milano, che causa la morte di 18 persone e un centinaio di feriti. Così Viva l’Italia, con quell’incidere corale da Quarto Stato e il sax di Dalla che sostiene il recitato, viene usurpata e adottata praticamente da tutti, partiti, movimenti, sindacati, in occasione di elezioni, feste, referendum, propaganda senza confini politici. De Gregori si ritrova suo malgrado ad accompagnare le campagne socialiste di Bettino Craxi che lo stesso De Gregori giudicherà “peggio di Nerone” nell’Uomo ragno, e perfino dall’ultradestra di Giancarlo Fini: «Ma l’avete sentita bene?», replicherà sdegnato l’autore. «L’Italia liberata, l’Italia che resiste: voi che c’entrate? Non vi riguarda o caso mai vi riguarda al contrario». E ricorda come Woody Guthrie, il grande hobo anarchico dell’America della Depressione, creò This Land Is Your Land, un atto d’amore verso gli Stati Uniti, “dalla California all’isola di New York, dalle foreste di sequoia alle acque del Golfo”, diventato inopinatamente una sorta di inno nazionale ma anche «la colonna sonora pubblicitaria di una marca di latte». Consapevole della popolarità del brano, De Gregori infilerà Viva l’Italia in altri quattro album dal vivo e lo canterà perfino con Fedez, nel 2015 all’Arena di Verona. Il rapper da dieci milioni di follower trema dall’emozione e, invitato da Francesco, crea all’inizio del brano una frase d’apertura inedita, fuori luogo e tempo, ma singolare nel contesto: “Lei che era qui dall’inizio quando le culle eran più degli ospizi, lei donna oggetto di troppi comizi, in mano un bouquet fatto di pregiudizi per sopravvivere ai nostri vizi. E poi realizzi”. E finalmente parte De Gregori con Viva l’Italia, l’Italia liberata.