Rio Ferdinand dai gol ai pugni

E non importa se Massimiliano Allegri insiste a dire che la Juventus ha comprato il più forte giocatore del mondo «insieme a Messi». Cristiano Ronaldo, il più forte giocatore del mondo insieme a Messi, il portoghese che ha trasformato la miseria dei rotoli di carta da calciare nei vicoli di Madeira in cinque palloni d’oro e 662 gol tra Nazionale, United, Real e bianconeri, il narcisista, lo scontroso, il perseguitato dal fisco spagnolo, raggiunto pure da accuse — tutte da provare—di stupro a Las Vegas nel 2009, si rivela oggi l’uomo, se non più amato, sicuramente più seguito del mondo. Il sorpasso porta la data del 1° novembre: con 145 milioni di follower (ora già 146) Ronaldo, 33 anni compiuti a febbraio, è il re di Instagram. Ha messo in ombra Selena Gomez (144 milioni e in «pausa di disintossicazione» da social), da sempre al comando (qualche altro numero: Beyoncé ha 120 milioni di seguaci, Justin Bieber 102, Leo Messi, il rivale argentino, 101 milioni, il brasiliano Neymar 105, Donald Trump «appena» 10,7 milioni). Se poi si aggiungono Facebook e Twitter, Cristiano Ronaldo schizza a 335 milioni di pedinatori: virtuali, si intende, ma con un tremendo impatto sulla realtà. Chiedete agli sponsor, risponderanno che quei numeri valgono oro, la dedizione dei tifosi è un valore monetizzabile. La scorsa estate la società britannica Hopper HQ, startup che studia e rielabora i dati dei social, ha calcolatocheunsingolo post di Cristiano Ronaldo può valere fino a 750 mila dollari. Oggi anche di più. La sua capacità di attrazione ha del miracoloso: il 18 luglio, fresco fresco di arrivo in Italia, è bastato scrivesse «buongiorno» accanto a una sua foto scattata dentro lo stadio di Torino per raccogliere 9 milioni di like e 62 mila commenti.

Buongiorno, solo questo. Più forte perfino dell’altro storico saluto spiccio, il «buonasera» nel discorso di insediamento di Papa Bergoglio. Del quale peraltro, pur essendo argentino come Messi, Ronaldo è un grande tifoso, così come la fidanzata Georgina Rodriguez (presto i due si sposeranno) che cita il pontefice, sempre sui social, quando il suo uomo viene ingiustamente espulso in Champions a Valencia nel settembre scorso (2-0 comunque per la Juve): «Se il male è contagioso anche il bene lo è». Forbes ha fatto due conti: nel 2017 Ronaldo ha pubblicato 580 post accompagnati da uno sponsor, guadagnando 180 milioni di dollari attraverso i suoi canali web. Pubblicità, apparizioni e licenze: una montagna di danaro. Quindi non sono solo i 30 milioni di euro netti che il calciatore prende, a stagione, in bianconero (né quelli che risparmierà in tasse, particolare non secondario visto quanto i guai con il fisco spagnolo hanno pesato nella sua decisione di lasciare il Real Madrid).

Cristiano Ronaldo è un tesoro che si autoalimenta di continuo. Il contratto che lo lega a Nike vale 1 miliardo di dollari. Ma è solo il primo di una lunga lista. Tutto sulle spalle di un uomo solo. Una macchina perfetta. In quell’acronimo, CR7, c’è tutto: la fede, la politica, il calcio. C come Cristiano, battesimo obbligatorio per madre Dolores, pronta a sacrifici immani per far sbocciare il talento del figlio e rintuzzare i problemi del marito alcolizzato Dinis e dell’altro figlio Hugo, uscito, grazie all’aiuto del fratello, dalla dipendenza dalla droga. R come Ronaldo, riferito non al Fenomeno brasiliano ma all’allora presidente degli Stati Uniti Reagan. E 7 per la maglia scelta da Sir Alex Ferguson all’arrivo al Manchester United, lo stesso numero di Best, di Cantona, di Beckham, tanto per chiarire le aspettative sul diciassettenne lusitano. CR7 armato di orgoglio, arroganza, talento illimitato, raggiunge l’apice — 2 metri e 38 centimetri se proprio si vuole misurare in altezza—il 3 aprile 2018 con il gol in rovesciata applaudito dallo Juventus Stadium nonostante la maglia fosse quella avversaria del Real Madrid. Un prodigioso volteggio, primo atto d’amore tra lui e la Juve. Che, appena possibile, lo trasloca da Madrid a Torino e lo mette sotto contratto assicurandosi due obiettivi, il più grande calciatore europeo per puntare definitivamente alla Champions e l’indotto del marketing.Un affare per tutti, non solo per i tifosi bianconeri. Per la società e soprattutto per lui. Anche se la mette sul romantico nell’ultima intervista, lunga e circonstanziata, rilasciata a fine ottobre a France Football: «Non sono venuto alla Juve per i soldi. Ho guadagnato lo stesso a Madrid, se non di più. La differenza è che, alla Juve, mi volevano davvero». Cristiano Ronaldo vuole essere l’uomo che fa, sempre, la differenza.

Vuole essere desiderato, più di quanto si possa desiderare chiunque altro. Più della Pulce, ovviamente, più di Neymar. E quando la vanità si fonde con una «straordinaria capacità di volere sempre di più, quando noi da tempo ci saremmofermati», per dirla con Guillem Balague (autore della biografia pubblicata in Italia da Piemme), allora il clash è assoluto. Se il narcisismo senza talento è pura maledizione, come dice lo psichiatra Giancarlo Dimaggio (L’illusione del narcisista, Baldini&Castoldi), il narcisismo accompagnato da tempra, carisma, assoluta consapevolezza di sé e dei propri mezzi è benedizione. E una cascata di soldi. Quando Ronaldo cambia casacca, si lascia alle spalle folle di adoratori. Basta vederlo giocare all’Old Trafford, contro la sua ex squadra di Manchester. Ronaldo segna, la Juve batte lo United e i tifosi, inglesi in testa, l’applaudono. Perdono e applaudono. «È uno di quegli amori che non passa mai, anche quando la relazione è finita e lo incroci per strada con un altro/altra», scrive il New York Times spostando il tiro dal campo di gioco a quello liquido dei sentimenti, dalla parte al tutto delle nostre vite, perché il calcio ha questo di bello: oltrepassa lo sport, aprendo squarci su quello che significa stare al mondo. Anche Cristiano Ronaldo oltrepassa se stesso, il contenuto manifesto della sua immagine, è lo straordinario che può accadere — che tutti attendono, con ansia, accada — dentro i novanta minuti di gioco. «Quelli che si mettono la maglietta di Ronaldo, lo fanno per diventare lui, nella speranza di essere contagiati da lui, in un’epoca tanto difficile, di crisi di valori, politica, finanziaria, di fobia verso lo straniero (ma non verso il goleador straniero). Ronaldo è la salvezza», riprende Balague. La sua feroce dedizione al fitness—documentata da decine di foto postate e dai pettorali che mostra in campo, alzando la maglietta—lo ha salvato da infortuni gravi in carriera: «Per Ronaldo c’è solo il calcio—ha raccontato Carlo Ancelotti che lo ha allenato dal 2013 al 2015 —. Quando il Real rientrava da una trasferta, all’una o alle due del mattino, gli altri salivano in auto e se ne andavano a casa. Lui no. All’una o alle due del mattino andava a fare il bagno nel ghiaccio».

E poi c’è l’accusa di stupro, che in tempidi#MeToo avrebbe affossato chiunque. Su Ronaldo ha invece l’effetto di un dettaglio, una macchiolina sulla divisa che nessuno sembra notare. È stata la rivista tedesca Der Spiegel a innescare la miccia pubblicando documenti confidenziali, resi noti da Football Leaks, un sito web simile a Wikileaks: le carte raccontano di un accordo fra il giocatore e la modella Kathryn Mayorga, pagata 375.000 dollari per tacere un rapporto sessuale che non sarebbe stato consensuale, avvenuto il 13 giugno 2009 in una suite del Palms PlaceHotel, a Las Vegas. L’agenzia di Ronaldo sulle prime reagisce chiamandola «fiction giornalistica», poi passa alle querele. Mayorga—e siamo arrivati allo scorso settembre — dice a Der Spiegel di aver rottol’accordo di non divulgazione perché i suoi nuovi avvocati non credevano che fosse valido: «Sono stata ispirata dal movimento#MeToo». In Nevada viene apertaun’inchiesta. «Questa storia sta interferendo in modo pesante nella mia vita — dice Ronaldo nell’intervista a France Football —. Ho una compagna, quattro figli, una madre anziana, sorelle, un fratello, una famiglia con cui sono molto legato. Per non parlare della mia reputazione, che è quella di una persona esemplare. So chi sono e cosa ho fatto». L’eroe continua a essere adorato. Il miglior giocatore della sua generazione. Di fronte all’accusa di stupro — che non è una polemica sportiva, a cui rispondere zittendo tutti con una prodezza sul campo — gli sponsor, sempre pronti a fuggire alle prime avvisaglie di uno scandalo, non lo abbandonano, l’uomo brand continua a fatturare cifre stratosferiche (ha linee di abbigliamento, di jeans, di scarpe, di abiti per bambino, di intimo, un profumo), arriva una nuova candidatura al Pallone d’oro. «Le istituzioni del calcio europeo sono studiate per proteggere i loro giocatori da tutto quello che potrebbe danneggiare il loro gioco — scrive Michael Caley su Time —. I club, le federazioni, le leghe sono incentivate a spazzare le accuse sotto il tappeto». È cosi? Cristiano Ronaldo replica: «So di essere un esempio, lo so al 100 per cento. Sul campo e fuori dal campo. Così sorrido sempre. Sono un uomo felice. La verità vince sempre».

«Non è chiaro quale sia il significato, ammesso che ci sia, dell’eroismo nel XXI secolo—scrive il filosofo inglese Simon Critchley in A cosa pensiamo quando pensiamo al calcio (Einaudi) —. L’eroe è un’icona. Lo sappiamo. Ma è anche qualcosa di più. Il vero eroe è abitato dalla fragilità e dalla solitudine. E soprattutto, è portato all’autodistruzione». Critchley scrive pensando a Zidane e Cristiano Ronaldo, ancora una volta, è l’eccezione che conferma la regola, «sorrido sempre, sono un uomo felice». Ha sorriso, tanto, anche durante l’intervista che Alex Del Piero gli ha fatto per Sky (andata in onda lo scorso gennaio). Che farai quando dovrai smettere?, gli chiede Del Piero. E lui si conferma il campione dell’ottimismo, l’uomo senza rimpianti («l’unico, forse, è quello di avere avuto un’infanzia troppo breve»): «Avrò una bella vita. Non per i soldi,maperché voglio provare altro. A fare film per esempio. Poi ho le mie società, i miei hotel, le mie palestre, la mia linea con Nike. Ho tante cose. Voglio imparare a essere un uomo d’affari. Ho cominciato a pianificare il mio futuro a 27/28 anni». Il calcio è sport di squadra, non riguarda mai soltanto il singolo. Quasi mai. Qualche volta anche la storia va in rovesciata e prende un’altra piega.

Daniela Monti e Federico Pistone (Corriere della Sera)

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