Favole portafortuna per tifosi interisti da 0 a 99 anni

Da Corso a Mazzola, da Zio Bergomi a Zanetti – il capitano dell’unico triplete italiano! – la storia gloriosa dell’Inter è costellata di campioni eccezionali, allenatori visionari e partite indimenticabili. Federico Pistone, prima tifoso e poi giornalista, riscrive qui le cinquanta più belle «Favole portafortuna» che hanno costruito il sogno nerazzurro.

Capitolo 1 • Il rapimento del Poldo

La Prima guerra mondiale era appena terminata. L’Italia aveva altro a cui pensare che non al calcio: c’era da contare le vittime, i danni, ricostruire le case e le industrie, ritrovare la serenità dopo tre anni di dolore. I giovani però avevano una voglia matta di giocare e di sfogarsi. Ogni spazio polveroso tra gli edifici bombardati diventava un campetto da calcio dalle dimensioni improbabili, il fondo insidioso e le porte improvvisate con pietre o maglioni. I ragazzini pressavano insieme carta e stracci fino a formare una specie di sfera e giocavano con quella. Di solito a piedi nudi, per non consumare le uniche scarpe.

Leopoldo Conti, per tutti «Poldino», era un ragazzo che si faceva notare. Non solo per la capigliatura: tempie rasate e una bella cresta di capelli, proprio come si usa oggi. Aveva anticipato la moda di cent’anni buoni. Il meglio però lo dava sul campo: tecnica, velocità, coraggio, senso del gol. Sapeva fare tutto, ma se bisognava trovargli un ruolo, lui era un’ala.

Il suo idolo ce l’aveva in casa: era il fratello maggiore, che giocava nel Milan. Ma del rossonero di famiglia si perderanno presto le tracce, mentre il piccolo Poldo entrerà nella leggenda. Anche per le modalità con cui venne «ingaggiato» dall’Internazionale.

Conti giocava per la Libera Ardita, una piccola squadra milanese che aveva come sponsor l’Ausonia, che produceva autovetture elettriche. Per questo la squadra poteva permettersi di seguire ragazzini promettenti, dare loro scarpette da gioco e perfino un pallone di cuoio. Uno solo per venti giocatori, si intende. Quindi dovevi essere particolarmente bravo per riuscire a toccarlo, altrimenti restavi lì a guardare gli altri palleggiare. Ma non era certo il caso di Poldino, che con il pallone ai piedi era uno spettacolo.

La notizia di questo piccolo fenomeno arrivò ai dirigenti dell’Enotria, una squadra di Crescenzago, quartiere a nord di Milano. La società esiste ancora oggi ed è un punto di riferimento per le nuove leve del calcio, ma a quel tempo era addirittura tra le più prestigiose in Italia. Il merito fu soprattutto del suo presidente, Alessandro Gaetani, che i ragazzi chiamavano «papà Gaetani». Come allenatore aveva ingaggiato Herbert Kilpin, tecnico inglese di Nottingham, che aveva conquistato già 3 titoli nazionali con il Milan. Papà Gaetani vide giocare Leopoldo Conti e restò a bocca aperta: offrì 50 lire (cioè più di centomila euro di oggi, una bella sommetta per un minorenne) e convinse quelli dell’Ardita a cederlo all’Enotria. Solo che all’epoca i contratti economici erano vietati, così quelle 50 lire furono tramutate in un buono acquisto per materiale sportivo.

Tre giorni dopo Conti venne convocato per un torneo studentesco, che l’Enotria dominò grazie alle prodezze di Poldino. Il pubblico era in visibilio per quel ragazzino con la cresta e il talento di un campione. A fine gara alcuni spettatori entrarono in campo e lo portarono in trionfo, sollevandolo sulle spalle per festeggiarlo. Lui era felice di avere scatenato tutto quell’entusiasmo, ma quando il gruppetto si avviò verso l’uscita del campo tenendolo sempre sulle spalle, Poldino cominciò a preoccuparsi: «Chi siete? Dove mi state portando? Tiratemi giù!» E loro: «Non preoccuparti, siamo dell’Internazionale».

Tra quei nerazzurri scalmanati c’era il giovane Leone Boccali, che diventerà un grande giornalista sportivo e fonderà la rivista intitolata Il Calcio Illustrato. Ma in quel momento era solo un interista appassionato che aveva capito le potenzialità di Conti. Conosceva bene anche Gaetani e sapeva che non l’avrebbe mollato per nulla al mondo. O quasi.

«Ti do 100 lire», sparò il presidente dell’Internazionale Giorgio Hülls. Era il doppio della cifra, già iperbolica, sborsata pochi giorni prima. Papà Gaetani si arrese e siglò il contratto. Non sapeva di avere firmato anche la storia. Fu infatti il primo affare di calciomercato in Italia. La Federazione non perdonò questa novità non autorizzata. Intanto, però, Poldino era dell’Inter.

Dopo quattro anni e tre mesi di stop per la guerra, il 12 ottobre 1919 il campionato di calcio finalmente riprese. Il diciottenne Conti si ritrovò catapultato nella prima squadra dell’Inter, insieme a campioni straordinari come Cevenini III, Aebi, Agradi e Campelli. Si sentiva perfettamente a proprio agio dentro quella grande casacca a strisce nerazzurre, i pantaloncini bianchi e i calzettoni neri.

Al campo di via Goldoni gli spettatori venivano a vedere in massa questo ragazzino prodigioso. Già all’esordio del 26 ottobre, Conti trascinò l’Internazionale alla vittoria per 5-2 contro la Cremonese mettendo a segno anche un gol. Quel torneo fu massacrante – c’erano ben settantasei squadre, e soltanto la città di Milano aveva sette formazioni iscritte, tra cui l’Enotria – ma i nerazzurri sbaragliarono tutti e l’Internazionale di Poldino divenne campione d’Italia per la seconda volta.

Nella stagione successiva l’Internazionale partiva di nuovo con i favori del pronostico. Ma la Federazione, dopo avere rimuginato per mesi sul contratto di acquisto di Poldino, squalificò il giocatore per un anno intero. Senza di lui i nerazzurri non riuscirono a ripetersi, e la Pro Vercelli vinse il suo sesto titolo.

Scontata la squalifica, Conti rientrò e restò in nerazzurro per 9 stagioni filate, disputando 222 gare e segnando 75 gol, un bottino enorme per un giocatore che non era nemmeno attaccante di ruolo. Contribuì da protagonista al terzo scudetto del 1930. Sì, perché l’Internazionale aveva la strana abitudine di vincere il titolo ogni dieci anni tondi: nel 1910, nel 1920, nel 1930 e anche nel 1940 con la parentesi del 1938 a «rovinare» la media. In futuro lo conquisterà anche nel 1980 e nel 2010, la famosa stagione del triplete.

Conti era il punto di riferimento del gioco nerazzurro, il condottiero dell’Internazionale. Per questo si ritrovò addosso un soprannome assai scomodo: «il Duce». Ma, considerate le circostanze storiche, tutti preferiscono ricordarlo come «il Poldino».