La coppia Mancini Balotelli

Il Manchester United intanto aveva già chiuso la sua pratica, battendo 1-0 con Rooney il Sunderland e a questo punto la classifica recitava: United 89, City 87. Fare due gol nell’ultimo frammento di recupero (e balzare al comando per differenza reti) sembrava impresa impossibile anche secondo Ferguson, che pure era stato protagonista della rimonta più incredibile— almeno fino a ieri — della storia. Nel maggio ’99 il suo United era riuscito a ribaltare dopo il 90’ lo 0-1 del Bayern nella finale di Champions a Barcellona scippando la Coppa ai tedeschi. Anche all’Ethiad Stadium i tifosi dei Citizens già gonfi di lacrime e gli improperi di Mancini senza confini di lingua e decenza avevano già battezzato il titolo numero 20 dello United.

Nel frattempo era entrato anche Balotelli a rafforzare un assedio tanto epico quanto patetico: il Queens Park Rangers giocava con nove stopper e un portiere, che tra l’altro parava l’imparabile a Silva, Aguero, Tevez e poi a Dzeko e Balotelli. I londinesi non potevano concedere sconti perché una vittoria del Bolton (in vantaggio fino a 10’ dalla fine sul campo dello Stoke) li avrebbe scaraventati in Seconda
Divisione in caso di ko. Al secondo minuto (su cinque) di recupero Dzeko riusciva a fare 2-2 e proprio all’ultimo assalto Aguero, su assist di Balotelli, staffilava in rete il 3-2 che mandava in paradiso il City e all’inferno lo United, agghiacciato dalla notizia. Lieto fine anche per il QPR grazie al suicidio del Bolton, ripreso dallo Stoke. Manchester per una volta intona Blue moon e si tinge d’azzurro, mentre il rosso diavolo finisce arrotolato in cantina. Terzo scudetto per il City dopo quelli del 1937 e del 1968. «Vittoria incredibile, titolo meritato. Dopo questa partita mi sento come se avessi novant’anni. E adesso il City ha davanti a sé un grande futuro», garantisce in doppia lingua Mancini, che entra nel novero degli allenatori italiani vincenti all’estero.

Aveva cominciato negli anni Settanta lo sconosciuto Mario Astorri che vinse due campionati in Danimarca, con l’AB e il KB di Copenaghen. Poi Trapattoni (Bayern 1997, Benfica 2005 e Salisburgo 2007), Capello (Real Madrid 1997 e 2007), Bigon (Sion 1997), Scala (Shakhtar Donetsk 2002), Zenga (Steaua 2005), Bencivenga (Kf Tirana 2009), Ancelotti (Chelsea 2010), Mandorlini (Cluj 2010), Spalletti (Zenit San Pietroburgo 2010 e 2012), senza contare le prodezze di Vialli, Zaccheroni, Ranieri, Zola, Di Canio e Di Matteo. Ma il trionfo di Mancini è quello più sofferto, più emozionante, più importante e più italiano di tutti. Nonostante e grazie a Balotelli: «Chi parla male di me — gongola Supermario — ora deve stare zitto. Il mio futuro? Credo si chiami City».

Federico Pistone

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