L'incubo di Obodo

MILANO — Era andato in discoteca a bordo del suo macchinone, aveva offerto da bere e da mangiare a tutti, poi a notte fonda (erano più o meno le tre del mattino) stava rientrando a casa. Lì, davanti alla porta, è stato affrontato da un commando di uomini armati che l’ha sequestrato. Così è stato rapito nella sua città natale, Warri, in Nigeria, Christian Obodo, calciatore che dal 2001 gioca in Italia.
«Criminali comuni», spiega al telefono Charles Muka, l’ispettore di polizia che si occupa del caso, senza rispondere ad altre domande. Non vuole neanche confermare la notizia, diffusa in Italia dal fratello di Obodo, Kenneth, giocatore del Pisa, secondo cui i rapitori hanno chiesto come riscatto circa 147 mila euro («Ho parlato al telefono con Christian, sta bene, di questo sono sicuro e questo è importante»). Muka si rifiuta anche di spiegare cosa può essere successo in quella discoteca venerdì sera. Certo è normale da quelle parti che chi ha fatto carriera all’estero torni nella sua città e offra da bere a tutti. Un po’ per generosità, ma anche per una sorta di malcelato status symbol. Ma in Nigeria il percolo è sempre in agguato. Chissà chi c’era in quella discoteca venerdì sera. Nelle zone petrolifere i rapimenti sono continui: «In media più di uno al giorno, nel 2011 sono stati 366», sostiene Austin Ekeinde, lo stringer del Corriere a Warri. La Nigeria è l’ottavo produttore di petrolio al mondo. Le royalty incassate ogni giorno permetterebbero ai suoi 130 milioni e passa di abitanti (il 70 per cento dei quali vive con 1 dollaro al giorno) di godere di uno straordinario benessere. Invece non è così. La corruzione si mangia tutto. Poche grandi famiglie sono ricchissime, la moltitudine è povera, anzi, poverissima, Nei vari Stati del delta la disoccupazione si attesta tra il 95 e l’80 per cento.

I giovani che hanno accesso all’istruzione sono pochi, così l’appartenenza a una banda criminale rimane l’unico mezzo per trovare un «impiego» nella vita. Nelle loro mani sono finiti i familiari di molti calciatori che giocano all’estero, come il padre di John Obi Mikel, del Chelsea, o il fratello di Joseph Yobo, dell’Everton. In Nigeria tutti sanno che Christian Obodo è un calciatore affermato, anche se, forse, non conoscono le imprese italiane, come quella del 28 febbraio 2007 quando si era permesso di lasciare sul posto Figo e Zanetti, stoppare di coscia e battere Toldo in rovesciata: per l’Udinese un gol da cornice, per l’Inter di Mancini — che poi pareggiò 1-1 — il capolinea di una cavalcata lunga 17 vittorie ininterrotte. Un uomo tranquillo, un cattolico praticante: in undici anni di serie A —salvo la parentesi in B col Toro—niente gossip, niente pazziate, niente frequentazioni snob, nemmeno una fidanzata su cui puntare un teleobiettivo. Tanto che fece scalpore la notizia di un suo coinvolgimento in una rissa in un modesto bar di Udine frequentato da africani.

Qualcuno allora giurò che lui era intervenuto per dividere due ubriachi. Lo aveva scoperto, letteralmente, Serse Cosmi quando Obodo era un anonimo diciassettenne tesserato per il Plateau United di Jos, città della Nigeria centrale, tormentata da conflitti sociali e religiosi fra musulmani e cristiani, lontana settecento chilometri dalla sua Warri. Luciano Gaucci se lo portò a Perugia, fidandosi del suo allenatore e offrendogli una vita diversa e una carriera. «È con me da quando aveva 17 anni, era un bambino, e lo considero ancora come un figlio», ha dichiarato ieri Serse Cosmi alla notizia del rapimento.

Massimo A. Alberizzi
Federico Pistone

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