LO SWING FA IL DUCE “BOMBOLO”

Canzonette e antifascismo

Eh no, pensa il Duce, infiammato da una maschia gelosia. Il 1940 è l’anno delle decisioni irrevocabili, e se l’ora segnata dal destino batte nel cielo della Patria, a Palazzo Venezia non può echeggiare lo swing. Perché in quelle note sincopate Mussolini intravede due nemici: un che di americano nel ritmo (anche se il jazz non l’ha mai odiato, anzi) e quel cascamorto di Rabagliati, che complice l’orchestra diretta da Pippo Barzizza, ammalia tutte le italiche fanciulle. Compresa Claretta: “Ben” la sorprende a ballare e cantare Ba Ba (Baciami piccina) con irrefrenabile trasporto. E la canzone sarà pure incentrata su una giocosa balbuzie, ma per la seduzione scat del “Raba” non c’è scampo. Così il condottiero scornato si precipita sul grammofono, solleva la puntina e frantuma il 78 giri. Urlando alla spaventata Petacci: “Mi hanno detto che Rabagliati è stato in America! Ci torni! In Italia possiamo benissimo fare a meno di lui e di Toscanini”.

Dai cantanti mi guardi Iddio, pensavano i papaveri del regime, che avevano fatto della musica e della radio strumenti di propaganda e di distrazione di massa, ma poi sospettavano di essere oggetti di una strisciante contestazione mascherata in versi e frasi che parevano innocenti, ma vai a capire se lo fossero davvero.

Ce lo ricorda il pregevole saggio Eiar, Eiar, Alalà, da un progetto di Franco Zanetti con le schede curate da Federico Pistone, e contributi di Vincenzo Mollica, Francesco Guccini e Riccardo Bertoncelli. Il titolo del libro riprende l’ironico “aggiustamento”, da parte dei movimenti antifascisti dell’epoca, del motto dannunziano.

L’Eiar nasce come Uri, Unione radiofonica italiana, nell ’ottobre 1924: apparecchi e abbonamenti costano una fortuna, ma il fascismo sa che nelle onde dell’etere, oltre a tanghi valzer e foxtrot passa pure l’ipnosi collettiva del consenso, magari grazie a una marcetta-tormentone. Come Giovinezza: che va in onda senza sosta, e guai a non “onorarla”. Osa farlo, more solito, Toscanini, che si rifiuta di eseguirla prima di un concerto a Bologna. A fine serata, il Maestro viene aggredito da una gang di squadristi. Invierà un telegramma al Duce per denunciare quella “masnada inqualificabile”, ma invano. Se ne andrà negli Stati Uniti per rientrare solo alla caduta della dittatura. Che ha, come si diceva, orecchie attente e maldisposte: Maramao perché sei morto?, il cui testo riprendeva un antico canto abruzzese e citava di striscio pure Giuseppe Gioacchino Belli, parla di un gatto o forse del defunto (nel ’39) presidente della Camera dei fasci Costanzo Ciano? Nel dubbio, meglio censurare, anche se il fascismo “assolve ” le interpreti, il Trio Lescano, ebree-olandesi italianizzate.

Queste vengono tuttavia inquisite dalla Gestapo come possibili spie: incarcerate, rischiano il lager. E nel charleston di Pippo non lo sa (che quando passa ride tutta la città) si prende in giro un gerarca esuberante come il segretario del Pnf Achille Starace? Potrebbe essere, anche se solo nel 1962 l’autore delle musiche, l’ineffabile Gorni Kramer, rivelerà che il bersaglio era il suo rivale Barzizza.

Un passo indietro, 1932. La rumba di B ombolo. Era alto così, era grosso così. Sarà mica il sottosegretario all’interno Guido Buffarini Guidi? La satira è criptica, ma colpisce pure tutti i non-sportivi in un momento in cui l’Italia, dal calcio al ciclismo al pugilato, si scopre fisicamente invincibile.

Va bene: ma quando Tata Giacobetti, fondatore del Quartetto Cetra, tratteggia la silhouette di Crapa Pelada, i milanesi dovrebbero ricordare la leggenda di Peppa, prostituta amante del Caravaggio rasata a zero dai fratelli per toglierle ogni fascino. Invece no: il cranio di Mussolini spunta pericolosamente tra le pieghe di quel vertiginoso ritornello. Complicato smarcarsi dalla grancassa del fascio: nel decisivo ’43 chi altri può essere Il tamburo della Banda d’Affori che comanda 550 pifferi, esattamente lo stesso numero dei componenti della Camera dei Fasci e delle Corporazioni?

Basta il verso “E coi bastoni a penzoloni giunge il tamburo com’un tuon” per lasciar intravedere i manganelli e inserire la fanfara tra le “canzoni della fronda” da mettere all’indice. Eppure, a riaccendere la radio del Ventennio non si ritrovano sotto Faccetta nera o L’Inno della Decima Mas composto da Junio Valerio Borghese. Tra marce ridicole e pezzi-slogan che esaltano l’operosità mussoliana, l’Italia che onora le vittime sul lavoro tra miniere ferrovie, l’emigrazione Oltreoceano, le spedizioni coloniali e le cantilene dei soldati, spuntano capolavori a profusione della musica italiana del Novecento: Parlami d’amore Mariù (la voce di flanella di Vittorio De Sica), Tanto pe’ cantà di Petrolini, Mattinata fiorentina, Na sera e maggio, Un’ora sola ti vorrei, Madonina , Dicintencello vuje e mille altre. Fino a quel Perduto amor che risuona tra le strade piene di macerie, la solitudine sconvolta dopo l’apocalisse nazionale.

di Stefano Mannucci

Edito da Baldini&Castoldi nel dicembre 2023, una galleria cronologica di 130 brani musicali che raccontano la storia e la vita quotidiana degli italiani, dalla nascita della radio alla Seconda guerra mondiale. Scritto da Federico Pistone, curato da Franco Zanetti.

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Eiar Eiar Alalà