Eiar Eiar Alalà

Una galleria cronologica di 130 brani musicali che raccontano la storia e la vita quotidiana degli italiani, dalla nascita della radio alla Seconda guerra mondiale. Scritto da Federico Pistone, curato da Franco Zanetti.

Ascolta l’audio intervista
di Rai Radio 1

Prima scheda del libro:

INNO A ROMA

1919 – Parole di Fausto Salvatori, musica di Giacomo Puccini

 Alme sol, curru nitido diem qui promis et celas aliusque et idem nasceris, possis nihil urbe Roma visere maius:
divino sole, che sull’aureo cocchio schiudi e nascondi il giorno, sempre uguale tu sorgi: possa tu vedere nulla maggiore di Roma. Nasce così, il 3 giugno dell’anno 17 avanti Cristo, l’Inno a Roma. È il Carmen Saeculare commissionato dall’imperatore Cesare Ottaviano Augusto al poeta latino Orazio per ribadire la grandezza di Roma sul mondo, e intonato da 27 fanciulli e 27 fanciulle sul Colle Palatino e sul Campidoglio. Le parole dell’antico carme ispirano – quasi due millenni dopo, nel 1918 – Fausto Salvatori, che all’indomani della vittoria nella Grande Guerra si trasforma in un «nuovo Orazio» e compone i suoi versi aggiornati.

Roma divina, a te sul Campidoglio dove eterno verdeggia il sacro alloro
A te, nostra fortezza e nostro orgoglio, ascende il coro
Salve, dea Roma! Ti sfavilla in fronte il sol che nasce sulla nuova Storia
Fulgida in arme, all’ultimo orizzonte, sta la Vittoria

A improvvisarsi «Augusto» è invece il sindaco di Roma, il principe don Prospero Colonna di Palliano, che si innamora di quelle rime e decide che devono diventare canzone. Si rivolge al più grande, il sessantenne Giacomo Puccini, che ha già sbalordito ed esaltato il mondo della lirica con La bohème, Tosca, Madame Butterfly, in vista dell’ultimo capolavoro incompiuto Turandot. Anche lui resta ammaliato dai versi di Orazio-Salvatori e crea una melodia immortale. La prima esecuzione di Inno a Roma è prevista il 21 aprile 1919, in occasione dell’anniversario della fondazione di Roma – che lo storico Marco Terenzio Varrone ha fissato proprio in quel giorno del 753 a.C. – nella sontuosa cornice di Villa Borghese. Ma c’è brutto tempo, e pure uno sciopero in corso: così, affidata alla Banda Musicale di Roma diretta da Alessandro Vessella, avviene il 1° giugno allo Stadio Nazionale di via Flaminia, inaugurato sette anni prima e che nel 1934, ribattezzato Stadio del Partito nazionale fascista, regalerà agli Azzurri dell’Italia la prima coppa del mondo nella finale vinta 2-1 sulla Cecoslovacchia. Intanto però l’entusiasmo è riservato a quell’inno di maestosa retorica che riaccende i cuori di una nazione uscita, stremata ma vittoriosa, da un conflitto spaventoso. Lo stesso Puccini chiede che Inno a Roma diventi un «canto popolare» e il coro sia intonato dalla popolazione italiana all’unisono.

Sole che sorgi libero e giocondo sul Colle nostro i tuoi cavalli doma
Tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma, maggior di Roma
Per tutto il cielo è un volo di bandiere e la pace del mondo oggi è latina
Il tricolore canta sul cantiere, su l’officina
Madre di messi e di lanosi armenti, d’opere schiette e di pensose scuole
Tornano alle tue case i reggimenti e sorge il sole

Nella sua devozione alla dea Roma e ai suoi antichi fasti, ma anche nella sua esaltazione dei valori italici, dai grandi dell’arte e della cultura fino ai più umili (l’operaio, il pastore, il contadino), Inno a Roma diventa la colonna sonora del fascismo, nato nello stesso anno, il 1919, come quel sole «libero e giocondo». Ed è proprio l’adozione da parte del Regime, con l’intensa interpretazione ufficiale affidata a Beniamino Gigli, a relegare questo solenne canto a una sorta di pudica clandestinità. Almeno fino al terzo millennio, quando viene rispolverato e riproposto nei festival pucciniani e nei repertori dei protagonisti della lirica, come Placido Domingo, e della direzione d’orchestra, come Riccardo Chailly con il Coro Sinfonico di Milano, o addirittura con il tenore pop Andrea Bocelli che nel 2017 intona alla perfezione il suo «sole che sorgi» di fronte al pubblico del Colosseo e di milioni di telespettatori Rai. Tutto parte da Roma, quella antica dei fanciulli al Colle Palatino, e a Roma ritorna.

Eiar Eiar Alalà – Canzoni alla radio 1924-1944 – di Federico Pistone, Franco Zanetti – Baldini&Castoldi.

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