NON ERANO SOLO CANZONETTE

Cent’anni fa iniziavano le trasmissioni Radio della Eiar. Un libro ripercorre Gli inni di allora. Molto egemonici

Francesco Guccini ha confessato più volte di avere un debole per certi inni fascisti. «Mia mamma le cantava come canzonette», spiega a Franco Zanetti, autore del volume Eiar, Eiar, Alalà (Baldini+Castoldi) «pur non essendo fascista». Più di centotrenta schede di analisi e aneddoti attorno alle canzoni del Ventennio, compilate con Federico Pistone, ripercorrono un terreno già bene indagato, tornato in fondo d’attualità grazie ai discorsi sull’egemonia, il politicamente corretto, le culture wars della destra al governo. Il fascismo ebbe il controllo totale dei media appena nati. Cent’anni fa, il giorno dell’inaugurazione, la radio Eiar mandò in onda prima un discorso di Mussolini, poi un quartetto di Haydn, quindi decine di canzoni candidamente aggiornate ai ritmi americani del foxtrot e dell’one-step.

Il volume, precisa Zanetti, doveva essere un «pamphlet sulle canzoni di propaganda» fascista. Quelle ci sono tutte: dal primo Inno a Roma di Puccini, sottratto di recente all’imbarazzo del testo in nome della musica, agli inni al Duce (“tu sei la luce la fiamma tu sei nel cuore”) che in qualche caso imbarazzarono pure il festeggiato, fino ai lugubri cori dei sommergibilisti che ridono in faccia “a monna Morte e al Destino”, gli uomini della X Mas che planano con ardimento sulla rima traditore onore, e quelli che “le donne non ci vogliono più bene perché portiamo le camicie nere”, brano folle perché ripetuto due volte, prima da un coro maschile e poi da uno femminile con lo stesso testo ma i pronomi cambiati. Nella prefazione Riccardo Bertoncelli, decano dei nostri critici rock, in tanto repertorio confessa di preferire la «distrazione di massa» di filastrocche sul filo della surrealtà come Bombolo, o Ba-Baciami piccina. Michele Straniero e Virgilio Savona, autori di uno degli studi fondamentali sulle musiche del Ventennio, ricordavano che lì erano nascosti i termini del consenso di massa del fascismo. Fino a metà degli anni 30 le voci dei tenori leggeri, Gabrè, Miscel, Daniele Serra, raccontavano per lo più di avventure esotiche, coloniali, a pagamento, rivolte a un pubblico di uomini, presunti avventurieri, dove le donne erano di volta in volta lucciole, vipere, creole. Il protagonista della famigerata Ziki-Paki Ziki-Pu porta a casa dall’India il frutto di un fugace incontro: “meglio un bimbo mezzo indiano che passar la vita invano”, anni prima di Faccetta Nera. Ugo Gregoretti ci vedeva «una paura tutta italiana per le donne». Nel 1944 Nilla Pizzi fu allontanata momentaneamente dalla radio: troppo sensuale. Zanetti e Pistone individuano nella malinconia di Na sera ‘e maggio o Non dimenticar le mie parole (1937) i segni della crisi di consenso, l’aria della guerra. Ma è la paranoia che accompagnò le cosiddette “canzoni della fronda” a spiegare bene l’ambiguo potere delle canzonette. Pippo non lo sa, Maramao perché sei morto, persino Crapa Pelada di Gorni Kramer (e un po’ Duke Ellington) erano sospettate dai censori di contenere messaggi segreti, ammicamenti di antifascismo. Per i loro testi nonsense (e lo swing) le meravigliose olandesine del Trio Lescano, quelle di Ciribirin e Tuli-tuli-pan, furono arrestate nel 1943 con l’accusa di spionaggio. Si salvarono per miracolo dai lager.

di Alberto Piccinini

Edito da Baldini&Castoldi nel dicembre 2023, una galleria cronologica di 130 brani musicali che raccontano la storia e la vita quotidiana degli italiani, dalla nascita della radio alla Seconda guerra mondiale. Scritto da Federico Pistone, curato da Franco Zanetti.

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